Con questo approfondimento ricordiamo Irene Nemirovsky, la scrittrice dal triste destino.

Irene-Nemirovsky

Dedichiamo un approfondimento a Irene Nemirovsky,  scrittrice francese,  di origini ebraiche nata in Russia, a Kiev l’11 febbraio del 1903  e morta ad Auschwitz il 17 agosto del 1942.

È il 2004 quando le Edizioni Denoël pubblicano in Francia Suite francese, il romanzo incompiuto al quale Irene Nemirovsky stava lavorando prima che venisse arrestata e internata. Secondo un suo progetto, l’opera doveva comporsi di cinque parti, per la precisione sarebbe dovuta essere una sinfonia dall’andamento in cinque movimenti, ma la scrittrice riuscì a realizzarne solo due, dal titolo Tempesta in giugno e Dolce, delle successive sono pervenuti solo alcuni appunti dai quali si apprende che sarebbero state intitolate rispettivamente Prigionia, Battaglie e La Pace.

L’argomento trattato è quello dell’occupazione tedesca in Francia e, per la precisione, nella prima parte viene narrata la fuga di alcuni parigini dalla città attraverso una lucida descrizione delle singole reazioni dei numerosi personaggi di fronte ai tragici eventi dell’arrivo dei nemici, in particolare quelle della famiglia borghese Péricand. La narrazione è scandita da un ritmo lento, che permette al lettore di cogliere un crescendo di sentimenti di tristezza sulla condizione umana di fronte al flagello bellico. Non mancano, come in tutti i romanzi della scrittrice francese, le contraddittorietà dell’animo umano e dei rapporti interpersonali attraverso un’analisi obiettiva, dove a parlare sono i gesti e le scelte dei protagonisti stessi. Nella seconda parte è invece raccontata la relazione d’amore tra un soldato tedesco e una donna francese che non conosce la sorte del marito sul fronte.

La storia del manoscritto, giunto alle stampe così tardi, racchiude in sé un alone di nostalgia e di amarezza, nonché di drammaticità, se si considerano gli eventi di cui fu protagonista.

La bambina con la valigia

Irene Nemirovsky ebbe due figlie, Denise ed  Élisabeth che quando rimasero senza madre avevano rispettivamente tredici e cinque anni. In seguito alla deportazione del padre furono consegnate ad amici fidati di famiglia, fino a che passarono sotto la tutela di Albin Michel e Robert Esmenard, editori delle opere materne, sino alla maggiore età. Gli anni che seguirono l’arresto dei genitori furono segnati da fughe continue dalla polizia francese e dalla Gestapo, le due bambine passarono da un nascondiglio all’altro, come cantine e un convitto di suore. Nei giorni della Liberazione le due sorelle aspetteranno, invano,  presso la Gare dell’Est, l’arrivo a casa dei sopravvissuti dei campi. Tutto quello che restava della loro famiglia era una valigia che, prima di essere arrestato, Michael Epstein aveva affidato alla figlia maggiore la quale, una volta adulta, troverà il coraggio di aprire scoprendo il quaderno degli appunti di Suite francese e che deciderà di ricopiare e di dare alle stampe nel 2004. Gli eventi che portarono alla pubblicazione del romanzo sono stati narrati nel testo edito da Adelphi, Sopravvivere e vivere, scritto dalla stessa Denise Epstein, mentre la sorella Élisabeth Gille ha pubblicato nel 1992 una biografia della madre, definita “sognata” dal titolo, Mirador. Irene Nemirowsky, mia madre, in prima persona e pubblicato in Italia dall’Editore Fazi.

Chi era Irene Nemirovsky

Originaria della Russia, da dove fuggì con la sua famiglia a causa di una taglia che i Soviet misero sulla testa di suo padre Leonid Borisovitch Némirovsky, ricco banchiere, Irene Nemirovsky si trasferì in Francia, a Parigi. Si laureò alla Sorbonne nel 1924 e subito dopo cominciò a pubblicare i suoi primi romanzi. Il primo, “Il malinteso”, uscì nel 1926, lo stesso anno in cui sposò il banchiere Micheal Epstein, anch’egli ebreo di origini russe. La coppia condusse un’esistenza agiata, lontana dagli ambienti della ricca borghesia ebraica, con l’intento di prendere le distanze da un mondo che volevano dimenticare. Il successo letterario arrivò con il romanzo David Golder, pubblicato anonimo nel 1929 che narra la scalata sociale di un povero ebreo, ossessionato dal denaro, fino all’alta finanza. Seguirono altre pubblicazioni degne di nota, come Il vino della solitudine, Il signore delle anime, Come le mosche d’autunno, Jezabel, I cani e i lupi.
Nel 1939 la scrittrice si convertì al cattolicesimo e chiese più volte la cittadinanza francese, che però le venne sempre negata, così come non potette sottrarsi al tragico destino a cui andò incontro in quegli anni la sua popolazione di origine. Fu arrestata e deportata nel luglio del 1942 e inutili furono i tentativi del marito di riuscire a liberarla. Morirono entrambi ad Auschwitz a pochi mesi di distanza l’uno dall’altra.

La figura della matrigna nelle sue opere

Anna Margoulis (1887-1989), questo il nome della madre di  Irène Némirovsky, viene ricordata come una donna frivola, egoista e avida, che affidò sua figlia alle cure di una governante francese. La conflittualità del rapporto madre-figlia è un tema molto ricorrente nelle opere dell’autrice. Numerose sono le figure di madri interessate unicamente alla scalata sociale e al culto della bellezza, fino ad instaurare un legame di competizione con la propria figlia. Nel racconto Il ballo, Antoinette, ragazzina di quattordici anni, esplicita parole di odio e ripugnanza verso la madre

“Arricchiti volgari, ignoranti… Ah, come aveva riso di loro tutta la sera! E loro naturalmente non si erano accorti di nulla […]. Con che diritto la mandava a letto, la puniva, la ingiuriava? Ah, vorrei che morisse!”

sentimenti che la porteranno a meditare un’amara vendetta, simbolo del desiderio dell’ allontanamento dalla figura materna, che segna il passaggio all’età adulta. Il romanzo più emblematico che mette in luce questo rapporto così conflittuale, resta Jezabel, il cui titolo prende il nome della madre crudele di Athalie, tragedia scritta da Racine, dove la protagonista, vive il dramma del passare degli anni come la più grande tragedia della sua via, nonostante abbia dovuto affrontare eventi drammatici come la morte della figlia. Gladys, questo il suo nome,  donna attraente dell’alta borghesia francese, processata per l’omicidio di un giovane amante, viene descritta dalla Nemirovsky come una dura priva di scrupoli e di pietà che

“Fino ai diciott’anni era vissuta accanto ad una madre fredda, severa, una vecchia bambolina imbellettata e mezza matta, ora frivola, ora terrificante, che trascinava in ogni angolo della terra la sua noia, sua figlia, i suoi gatti persiani. “

La protagonista appare dunque una vittima del proprio destino. Figlia di una donna incapace di mostrare affetto, si rivela ella stessa una madre anaffettiva, votata al culto della bellezza e del denaro, tratti che contraddistinsero la stessa figura materna dell’autrice che, secondo quando scoperto alla sua morte, pare avesse conservato una copia di Jezabel.

Denise Epstein ricorda sua madre come una donna affettuosa che proteggeva le sue figlie dalle brutture del mondo, mentre della nonna sua sorella riporterà le parole da lei pronunciate quando si rifiutò di aprire la porta alle nipotine condotte da lei dalla governante alle quali erano state affidate dopo l’arresto di Micheal Epstein, «Esistono istituti per bambini bisognosi a cui rivolgersi».

Irene Nemirovsky e l’ebraismo

Nonostante i tentativi di distacco e spesso di palese rifiuto nei confronti della propria appartenenza giudaica, la matrice ebraica nelle opere di Irene Nemirovsky è fortemente marcata nella descrizione degli ambienti e dei personaggi. La società che ne viene fuori è caratterizzata non da un senso comunitario, né di condivisione religiosa, ma da ideali gretti e meschini, quali l’avarizia e la voglia di affermarsi, aspetti questi che hanno portato ad avanzare accuse di antisemitismo e allo stesso tempo di nosografia ebraica verso le sue opere. Contestualizzando la sua produzione letteraria, appare evidente che i personaggi delle sue storie, racchiusi solitamente in figure archetipiche come la madre-matrigna o l’arrampicatore sociale, si scoprono vittime del proprio atroce destino, anche quando tentano di opporsi alla loro sorte. Quella della scelta in prima persona si rivela una mera illusione, sopra tutti vi è sempre una mano invisibile, il fato, che ha già predisposto le pedine sulla scacchiera senza alcuna esclusione di colpi. Nel romanzo Il signore delle anime l’autrice scrisse:

“Non puoi cambiare il tuo corpo, non puoi cambiare il tuo sangue, né il tuo desiderio d ricchezza, né il tuo desiderio di vendetta.”

Il sangue diventa allora il marchio della maledizione che segna un destino ineluttabile. In I cani e i lupi Harry, figura di ebreo assimilato, viene definito da Ben, il cugino meno fortunato, come uno dei

“figli di gente che ha avuto un’infanzia non molto diversa dalla mia: i loro padri, da bambini, hanno conosciuto la fame, le botte, le umiliazioni. E questo crea una solidarietà che non si dimentica: non quella della razza, del sangue, ma delle lacrime versate.”

E Ben invece

“come tutti gli ebrei provava l’oscura e un po’ angosciante sensazione di avere un passato più lungo di quello della maggior parte degli uomini. Laddove gli altri avevano da imparare, a lui, Ben, bastava ricordare.”

Un’eco lontana dunque che richiama le anime alla loro sorte già segnata. I cani e i lupi, pubblicato nel 1940, fu l’ultimo libro pubblicato della Nemirovsky e in esso, come in tutte le altre opere, si respira un’atmosfera di angoscia asfissiante, preludio di un triste presagio, il destino che di lì a poco avrebbe segnato anche la sua breve esistenza.

In Mirador la figlia Elizabeth scrive

“Nella mia adolescenza ce l’avevo con lei per via della sua mancanza di coscienza politica. Non era scappata, sebbene avesse avuto la possibilità di farlo, e aveva messo mia sorella e me in pericolo. Siamo state arrestate e avremmo dovuto, a rigor di logica, finire come lei e come mio padre, ad Auschwitz. La sua cecità era criminale. Negli anni Trenta, persino nella sua opera, non era affatto colpita di quanto accadeva ai poveri ebrei dei quartieri popolari di Parigi. Mia madre tuttavia non era di destra: giustificava la Rivoluzione sovietica. Ma viveva in un mondo privilegiato senza capire cosa accadesse attorno a lei. Sembra che quando il poliziotto l’ha condotta alla prefettura per consegnarla ai tedeschi, nel 1942, le abbiano proposto di fuggire. E lei abbia risposto : “Non andrò due volte in esilio”.


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