Il viaggio della fenice di Sabrina Prioli è il reportage di una sopravvivenza, una storia di autoderminazione che dovete assolutamente leggere.
«Non volevo una gonna a fiori, mi sarebbero bastate un paio di mutande nuove»
(Il viaggio della fenice, Sabrina Prioli, p. 20).
Luglio 2016. Sabrina Prioli viene accolta dai suoi colleghi d’ufficio con una gonna nuova, perché possa cambiarsi, dopo uno stupro da parte di cinque soldati in Sudan del Sud. Qualche giorno prima, si trova a Juba, la capitale del Paese, in qualità di operatrice umanitaria. La guerra civile infiamma e, nel corso di alcuni disordini, i soldati fanno irruzione in un compound dove sono presenti cooperanti, giornalisti e attivisti di nazionalità diversa.
Il bilancio è tragico. Il giornalista John Gatluak viene ucciso e cinque cooperanti vengono minacciate, picchiate e stuprate a turno dai soldati. Prioli è una di queste e sarà l’unica a denunciare l’accaduto. Il 22 agosto del 2017, testimonierà da sola davanti alla corte marziale di Juba e otterrà la condanna dei suoi aguzzini. La stampa internazionale si è occupata a lungo del caso, quella italiana poco e niente. Così, a distanza di qualche anno, la protagonista di questa vicenda decide di raccontare quei giorni, e non solo.
«Ho scritto il libro che avrei voluto leggere», scrive Prioli tra le prime pagine di quello che definisce un «memoir», un racconto di circa dieci anni di vita, che altro non è che il reportage di una sopravvissuta: a un uomo violento prima, al terremoto dell’Aquila del 2009 poi, e infine a uno stupro in Sudan del Sud nel 2016.
Dal terremoto dell’Aquila al Sudan del Sud
Dopo una relazione tossica, fatta di abusi e di violenze fisiche e psicologiche, la protagonista passerà attraverso il disastro dell’Aquila, raccontando la sua esperienza da sfollata. Con una figlia a carico e costretta a rimettere insieme i cocci di una vita passata, deciderà di trasferirsi in Sud America. Qui comincerà un nuovo capitolo come operatrice umanitaria, ma il suo equilibrio verrà di nuovo minato da una missione in Sudan del Sud, che si rivelerà drammatica.
Diretto e spontaneo, Il viaggio della fenice di Sabrina Prioli è una narrazione senza orpelli né troppi giri di parole: la verità, si sa, non ne ha bisogno. Trae forza da sé stessa e cela al proprio interno un’urgenza alla quale non si può che rispondere con l’ascolto: immediato, aperto, devoto. È un libro a tratti brutale, insudiciato di quella stessa brutalità riservata a chi scrive, figlio di un bisogno estremo di consegnare nelle mani di chi legge una testimonianza autentica. Una necessità covata per anni, elaborata, e alla fine tirata fuori, come una massa incandescente, e trasferita in poco più di 200 pagine.
Duecento pagine di tutte e per tutte, prima. Di tutti e per tutti, per forza.
Un libro femminista
Ben lontano dall’autocommiserazione o dal mero vittimismo, il libro di Prioli è, anche e soprattutto, la storia di una resistenza. Di una lotta, con le unghie e con i denti, per affermare la propria autodeterminazione, per difendere il proprio posto nel mondo, quello che a tutti e a tutte spetta di diritto. Una storia di libertà e di coraggio, di quella libertà e di quel coraggio che solo chi è profondamente grato e attaccato alla vita possiede.
Non trovo difficoltà alcuna nel definirlo un libro «femminista», perché è nella teoria e nelle pratiche femministe che Sabrina trova i mezzi per affrontare tematiche come lo sfruttamento economico delle donne, il sessismo online, lo slut-shaming. È la sorellanza a fare da perno della vicenda: dall’impegno della protagonista nella creazione di una fondazione per tutelare il lavoro delle donne Wayuu, in Colombia, alla decisione finale di testimoniare anche per tutte coloro che una voce non ce l’hanno.
Il termine «privilegio» sarà ricorrente. Nonostante la violenza subita, Sabrina ammetterà con onestà che la sua non è altro che « la storia di una donna bianca e privilegiata che ha potuto pretendere che venisse fatta giustizia». Le donne nere dell’Africa, Sabrina lo sa, non godono della stessa concessione. Allora, con quel senso di responsabilità e di giustizia che è solo di chi vive, attraverso il proprio corpo di donna, le discriminazioni di tutte, Sabrina deciderà di farsi carico del proprio destino e di quello delle sue sorelle:
«La porta si spalanca. Non sono sola. Sto entrando assieme a Nimar, assieme alle mie colleghe, assieme alle migliaia di vittime di violenze di ogni genere. Quelle che sono venute prima di me e quelle che verranno dopo. Non sono sola.» (Il viaggio della fenice, Sabrina Prioli, p. 195)
SCHEDA DEL LIBRO:
TITOLO: Il viaggio della fenice
AUTORE: Sabrina Prioli
EDITORE: Independently published
PAGINE: 217
ISBN: 979-8656422598
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