Una recensione del libro Il paese del vento di Grazia Deledda: la confessione sincera di un amore giovanile
In Il paese del vento Nina, giovane sposa in viaggio con il suo consorte, si dirige verso un paese non definito dove inizierà la sua nuova vita coniugale. La giovane donna, imbevuta di ideali romantici, per l’occasione ha messo sul capo una paglia di Firenze “simile a quelle che portavano le eroine di Alessandro Dumas figlio”. Lo stato d’animo che alberga nei cuori dei novelli sposi che attendono il trenino con le mani intrecciate, è giulivo, ricco di aspettative e di nuovi sogni da realizzare insieme.
E’ questa l’immagine che si presenta al lettore nella prime righe del breve romanzo Il paese del vento dal sapore totalmente autobiografico per la prima volta nella sua produzione, scritto da Grazia Deledda e pubblicato nel 1931. Peccato che questa sensazione di fiduciosa attesa verso il futuro si interrompa bruscamente appena le rotaie del treno iniziano a scorrere sui binari. Irrompe nello scompartimento dove i due novelli sposi sono seduti mano nella mano, un plotone di giovani reclute che prende a canzonarli per la loro condizione e la delusione della fanciulla è repentina quando il consorte intrattiene una piacevole conversazione con il sergente sulla sua esperienza passata da militare.
Le nostre mani si sciolsero, e così parvero separarsi anche le nostre anime.
In quel momento Nina si sente sola e “schiava di una sorte equivoca”. Quel treno che avrebbe dovuto condurla nel paese dove amore e speranze avrebbero fatto da sfondo alla loro vita coniugale, si trasforma presto in una prigione dell’anima fatta di disillusioni e amarezza, dalla quale Nina evade affidandosi alla dimensione dei ricordi. La protagonista inizia così a presentarsi al lettore attraverso una serie di riflessioni personali su sé stessa, ma lo specchio in cui si osserva assumerà, nel corso dello svolgersi della trama, una nuova prospettiva perché Nina si scoprirà diversa. Il viaggio, infatti, sarà anche dentro sé stessa, che da fanciulla ingenua, dotata di una fervida fantasia, acuto spirito di osservazione e profonda introspezione, vissuta fino in quel momento in un paesino dalla mentalità arretrata dove la donna è relegata a ruolo di assidua lavoratrice e procreatrice alla quale si ribella con la sua passione per la lettura, diventerà consapevole della presenza del male nel mondo.
Il “forte vento” simbolico nel romanzo della Deledda
Giunti a destinazione, gli sposi vengono accolti da un forte vento che strappa via le ultime illusioni di ragazzina. Il vero protagonista del romanzo è proprio il vento, simbolo ricorrente nella produzione dell’autrice sarda, metafora del destino che agita le passioni umane. Il vento soffia minaccioso quando Nina sente crescere l’agitazione interiore provocata dalla delusione e quando incombe su di lei l’ombra ostile del passato. Nel paese in cui inizia la sua nuova vita, si imbatte infatti nella figura del primo amore, incontro che la riporta indietro nel tempo, all’epoca della sua fanciullezza, quando la passione per i libri e i sogni conditi di uno struggente romanticismo animavano le sue giornate.
La descrizione dei paesaggi e della casa d’infanzia a questo punto catapultano piacevolmente il lettore negli ambienti in cui l’autrice ha realmente vissuto. Il racconto della sua fanciullezza è allora abbellito da uno stile lirico che, attraverso confessioni e rivelazioni, portano alla luce un’adolescenza segnata dall’incontro con una figura maschile che la perseguita come un fantasma da adulta. Si tratta di Gabriele, studente figlio ventiduenne di un notaio amico di affari del padre che frequentava spesso la loro casa. Tra i due si era paventata la possibilità di combinare un matrimonio. Come accade in quasi tutte le prime cotte da ragazzina, all’età di diciassette anni la protagonista conosce di persona il ragazzo dopo averne tanto sentito parlare e inevitabilmente fantasticato.
L’incontro avviene all’improvviso, quando una serva fa entrare inavvertitamente l’ospite nella camera-soffitta in cui la ragazza era solita dedicarsi alla lettura. Durante la cena organizzata con affanno e meticolosità, dinanzi al ragazzo, assieme a sua madre, Nina negherà di saper leggere per non tradire l’immagine di donna sottomessa e ignorante che la tradizione impone, ma è proprio questo ad affascinare il ragazzo, che al termine della sua prima e unica visita presso la casa paterna le farà la promessa di inviarle libri e cartoline, proposito che non sarà mai mantenuto e che causerà in Nina la prima delusione. La ragazza reagisce duramente con sé stessa accantonando il suo amore per la lettura e dedicandosi devotamente ad accurate pulizie domestiche. Così facendo, rivela,
scendevo nelle profondità buie della mia coscienza, cercando di rischiararle a furia di confessioni a me stessa e di proponimento austeri.
L’incontro con il suo vecchio amore avviene dunque nel momento in cui, preso marito e convintasi a diventare una donna adulta e responsabile, il vento scompiglia i suoi pensieri alla fine di una giornata di viaggio segnata da una serie di frustrazioni. Sulle ali del vento le giunge il suono di un violino che pare un gemito nel quale Nina ravvisa la sua stessa passione. Le note dello strumento sembrano interpretare i sentimenti del musicista che la protagonista sente intonarsi ai suoi. La scoperta che si tratti del suo Gabriele, farà risalire a galla la bambina nella sposa, come la stessa protagonista afferma , e “la fantasia prendeva il sopravvento sulla realtà”.
Il ritorno di Gabriele e l’agitazione interiore
Così la novella sposa sarà assalita nei primi giorni della sua nuova vita, da improvvisi momenti di agitazione interiore, turbamenti e contraddizioni di cui il consorte subito si avvede. Nina, conscia della sua mancanza di rispetto verso il marito, tenta di scacciare via il pensiero di quel fantasma del passato, ma non resisterà alla tentazione di parlargli. L’uomo che si ritrova davanti però è una creatura diversa dalle sue fantasie di adolescente innamorata. I tratti sono spettrali e spaventosi, il corpo è scosso dai segni dalla tubercolosi. La confusione in Nina si accresce perché accanto a Gabriele sente che
eravamo forse allo stesso punto: l’incontro dello spirito con la materia: solo che le parti si erano invertite, e se adesso in lui parlava l’anelito dell’anima che non voleva andarsene via dal mondo solitaria e sconsolata, in me sopravvincevano le ragioni più gagliarde della vita.
Come reagirà Nina di fronte a questa nuova consapevolezza lo scoprirà il lettore curioso. Mi preme soffermarmi invece sull’aspetto autobiografico del romanzo. Nelle pagine finali Nina rivela
Non pensavo di negarlo, e neppure di spiegarlo, il mio contegno di quel tempo, tanto più che non riuscivo a spiegarlo neppure a me stessa; e se oggi scrivo questo libro è per giustificarmi, di fronte ai vivi e ai morti, e soprattutto di fronte alla mia coscienza.
Quale mistero si nasconde dietro questa ambigua confessione? Il senso di colpa e una torbida sensazione di peccato aleggiano per tutto lo svolgimento delle vicende narrate, cosa non del tutto nuova nei romanzi dell’autrice, del resto è proprio la presenza di un costante io-narrante con l’inevitabile presa di coscienza che caratterizza la sua produzione letteraria. Da cosa ha voluto prendere le distanze questa volta Grazia Deledda? E’ realmente esistito dunque il suo primo amore nelle vere sembianze di Gabriele? Pare proprio di sì e la risposta sta in alcune lettere pubblicate postume negli anni ’70.
Prima di conoscere e sposare Palmiro Madesani, la Deledda si era invaghita del giornalista e critico teatrale Stanis Manca, che ella conobbe a Nuoro nel 1891. Il giornalista conosceva di persona Gabriele D’Annunzio, ecco probabilmente spiegata la scelta del nome attribuito al suo primo amore nel romanzo. L’infatuazione, basata prevalentemente su un rapporto epistolare, non fu corrisposta e la richiesta della donna di ricevere indietro tutte le sue lettere non fu esaudita. Probabilmente l’autrice ha voluto lasciare una testimonianza di questo suo amore giovanile attraverso il breve romanzo del 1931, chiarendo aspetti ed eventi che in futuro, pervenute in un certo qual modo le lettere alla critica, potessero essere fraintesi o manipolati, tentativo che ha regalato ai lettori l’opportunità di conoscere le sue più recondite emozioni di donna.
L’immagine di donna che emerge è infatti quella di un’anima ribelle che per adeguarsi ai canoni della tradizione maschilista e arretrata del tempo, deve soffocare le sue ambizioni di assidua lettrice celando la sua passione. L’inclinazione per la scrittura emergerà in ogni modo, agevolata da una parte dall’agiatezza economica di cui godeva la sua famiglia di origine, dall’altra grazie alla sua capacità di penetrare con sguardo arguto negli stati d’animo umani e di dar voce a tematiche universali, quali la sofferenza, la passione, il senso di colpa e la morte, rappresentando luoghi e figure della sua isola con una penna dal tratto intimista e originale. Definita da molti critici una scrittrice di stampo verista, è evidente per chi legge le sue opere che questo manierismo viene del tutto superato grazie alla capacità di descrivere psicologicamente i tormenti dell’anima, esempio di una sensibilità tipicamente femminile che porta alla luce un talento che fortunatamente la tradizione rurale non è riuscita a soffocare. Un ennesimo di esempio di come, ottenuta la possibilità, una donna possa realizzare grandi cose.
VOTO: 7